GABRIELLA VERGARI: INGANNI CORTESI – Scrittura Viva – La Voce del Recensore


GABRIELLA VERGARI: INGANNI CORTESI

RECENSIONE
Polisemico e ossimorico è il titolo scelto dalla scrittrice e docente catanese Gabriella Vergari per raccontarci la sua favola esilarante ma non solo –Inganni cortesi (Il Girasole Edizioni, pagg. 93) – in grado di farci sì ridere e divertire, ma anche e soprattutto riflettere. Benché l’opera sia stata scritta nel 1990, più di trent’anni fa, le tematiche risultano attualissime, o per essere più precisi si potrebbe con convinzione affermare che “non passano mai di moda”. Esistono due modi per reagire e difendersi da una realtà che inseguendo “valori” effimeri e affascinanti chimere si svuota del tessuto valoriale propriamente umano: la creatività e l’ironia; attitudini possedute e abilmente usate dall’autrice per scrivere questa storia narrando dei mali che, purtroppo, affliggono da sempre l’umanità. La sua penna elegante e provocatoria si dipana attraverso episodi che nell’assurdità delle situazioni svelano amare verità. Il sentimento dell’amarezza, sperimentato dall’autrice di fronte al disfacimento dei sani principi e nella consapevolezza di un grande vuoto valoriale, piuttosto che trasformarsi in rabbia fine a sé stessa, impotenza o rassegnazione, si dimostra capace di una vigorosa forza che consente alla Vergari di astrarsi ponendosi quasi come dall’alto ad osservare e sorridere per certe reiterate “limitatezze umane”. Ambientata nel periodo degli Araldi, dei Cavalieri, dei Ciambellani, la favola, di tipico stampo medievale, incontra e si scontra con quelle contraddizioni, maschere e finzioni edulcorate – giustificate e accettate dalle “appartenenze” e dalle convenzioni – che, come ci ricorda il grande scrittore, poeta e drammaturgo Luigi Pirandello, danno “forma” alla vita e intrappolando l’individuo rendono quest’ultimo non più una persona integra e unitaria, ma solo un personaggio. E personaggi sono nella favola raccontata dalla Vergari il Re con i suoi sogni deliranti e le manie di onnipotenza; il Gran Ciambellano preposto al servizio del Re ma schernito dagli Araldi che reclamano diritti e benefici – diatriba che ricorda gli inciuci, i rimpasti e lo scarico di responsabilità della nostra politica –; la fata Zimira che incarnando l’ideale del bene e della giustizia – valori cercati solo quando conviene – si nasconde perché scomoda e incompresa; i Regi Cervelloni della Reale Accademia che si trastullano in discorsi astrusi – scomodando addirittura Freud attraverso una rilettura del complesso edipico in relazione all’analisi del problema da risolvere – il cui linguaggio ha molto in comune con quello che ironicamente ai nostri giorni viene chiamato “politichese”, usato nelle discussioni in cui – a parte l’insorgere della sonnolenza negli astanti – l’unica cosa certa che si comprende al termine è quella di non aver compreso nulla, ma dove il dotto cervellone di turno, espositore di cotanta “scienza”, si autocompiace del cosiddetto “narcisismo dell’oratore”; Un Don Chisciotte profondamente cambiato rispetto all’originale sognatore e assoggettato ad una “astuta” logica di comodo atta alla pacifica sopravvivenza; i due “servitori” insigniti del titolo di cavalieri, e illusi di poter soddisfare il desiderio del Re e di ottenere la loro parte di gloria e favori. Una storia che in sostanza è quella che viviamo quotidianamente, anche e soprattutto in relazione alla nostra politica dominata dalla logica di potere, dalla fama e dai benefici personali dei governanti e non dal reale interesse a perseguire il benessere della collettività: «Sarà un avvenimento! Lo dirò a tutti. Una festa incredibile, se ne parlerà per secoli, i miei sudditi me ne saranno grati ed io diverrò famoso. Del resto ogni sovrano che ami il suo popolo e voglia compiere bene il proprio dovere ha l’obbligo di organizzare divertimenti, perché tutti dimentichino nella gioia del momento le proprie sventure e godano del presente. E poi, il turismo si incrementerà. Molti, infatti, vorranno visitare i luoghi dove si sarà svolta Siffatta Grandiosità e il Sindacato degli Albergatori, gli Assessorati ai beni culturali, le Confraternite degli Alloggiatori, le Regie Congreghe dei Tavernieri ne riceveranno un gran beneficio, ed io sarò ricordato anche per questo. Oh quale giorno Fausto, oh mirabile, oh…, oh…, oh…». Ritornano quindi i soli discorsi vuoti, chissà quante volte ascoltati, che con la maschera dell’apparenza e conditi con frasi ad effetto nascondono interessi per ottenere un tornaconto personale; in questo caso, il desiderio/obiettivo del Re di maritare la figlia – ignara dei disegni del padre – obiettivo attorno al quale si sviluppa tutta la storia con le sue “grottesche” situazioni e conseguenze. Interessante è il discorso fatto, al Gran Cavaliere, da Don Chisciotte, nella nuova versione finemente ricamata dall’autrice, il quale a suo dire, imparando dall’esperienza, è divenuto, almeno, così crede, “furbo”: «Vi siete mai guardato in giro? Dovunque volgiate lo sguardo trovate corruzione, grettezza egoismo, pregiudizi, aridità di cuore e malcostume. Tutti si lamentano di questo stato di cose e sembrano ansiosi di miglioramenti e cambiamenti radicali. Ma ecco che, se appare all’orizzonte uno che non voglia integrarsi in una società tanto marcia e non voglia rispettare le regole, per non adeguarsi a tanta sozzura, che fa la gente così apparentemente ansiosa di palingenesi? Si unisce a lui, si schiera dalla sua parte, gli dà manforte, lo sostiene? Ma nemmeno per sogno! Te lo bolla subito come matto e disadattato, si affretta a canzonarlo e a sbeffeggiarlo o, nel migliore dei casi, a compatirlo e compiangerlo. In una parola, per la paura del “diverso” che possa sovvertire l’ordine costituito, non si esita a ricorrere al linciaggio morale e, se necessario, anche materiale. Quella che il mio biografo amabilmente battezza “pazzia” non era che quintessenza di idealismo, malattia dalla quale, come vedete, sono guarito. Batti e batti, voi capite, in questo stato di cose o ti immoli come martire ed eroe (a che pro, poi?) oppure apri gli occhi, ti svegli, dai un’occhiata intorno, fai prevalere quello che comunemente si definisce “buon senso”, li prendi in giro tutti e ti godi gli agi di una piena e soddisfacente integrazione. Il signor Cervantes ha voluto pietosamente preservare i lettori più onesti e sensibili da questa delusione ed ha concluso la narrazione delle mie gesta cavalleresche facendomi morire ed eliminandomi in modo piuttosto radicale dalla scena. E certo, in fondo, la mia guarigione assomiglia ad una morte. In un certo senso io sono morto ma, come vedete, per rinascere a nuova vita completamente rinnovato…» Sembra risuonino le parole di Pirandello: «l’uomo per sopravvivere decide di indossare le maschere, illudendosi di vivere ma in realtà “rimasticando la vita dei morti”». Una favola, quella della Vergari, che al di là dell’ironia mostra quell’attitudine sempre più dilagante di curarsi solo di sé, disinteressandosi di tutto il resto. È quell’atteggiamento di comodo che spinge a dire: “Chi me la fa fare?”. Ma va da sé che gli eventi e le circostanze, volenti o nolenti, richiedono ad un certo punto l’assunzione di responsabilità, di coraggio, per evitare di fare la fine di tutti coloro che, come i personaggi della storia della Vergari rimangono al termine tutti con un pugno di mosche. Come per tutte le favole che si rispettino, vi è anche in questa una importante morale che emerge: al di là della posizione che si occupa all’interno di una società, gli uomini – chi più chi meno – sono soggetti alle debolezze, agli errori, alle lusinghe; realtà che ci accomunano nella nostra condizione di esseri imperfetti in quanto, appunto umani, pur dotati comunque, ognuno in diversa misura, di uno spirito critico che consente sempre di valutare e compiere delle scelte. Inoltre, come indica la seconda voce del titolo: cortesi, usando l’eleganza, la raffinatezza di certe espressioni risulta facile ingannare, aggirare il prossimo, manipolarlo. Del resto è ciò che accade quando una qualunque cosa comunicata ad “arte” o diffusa da una fonte definita autorevole è accettata o creduta maggiormente rispetto ad una notizia fornita da una persona “qualunque”. Il discorso però potrebbe allargarsi ed abbracciare altri aspetti dell’essere umano in riferimento al coraggio di liberarsi da certi poteri forti. Erich Fromm scriveva: «L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi. […] Se invece si sottomette a un’autorità, allora può sperare che l’autorità gli dica quello che è giusto fare, e ciò vale tanto più se c’è un’unica autorità – come è spesso il caso – che decide per tutta la società cosa è utile e cosa invece è nocivo». Consapevoli che nelle scelte interagiscono fattori individuali e sociali, la storia della Vergari è testimonianza e specchio della nostra società, specchio con il quale sempre dobbiamo confrontarci, coscienti della complessità dell’agire dell’uomo – uomo, anch’egli “personaggio” che “recita”, appunto, in una società complessa in continuo cambiamento – e della “contraddittorietà” che ci ricorda il significato del famoso romanzo Uno, nessuno e centomila di Pirandello: la frantumazione dell’io, la follia, l’inettitudine e lo smarrimento; situazione e sensazione, quest’ultima, che accompagna sempre più la nostra modernità che non sempre è sinonimo di progresso e libertà. Il pregevole lavoro della Vergari si presta a molteplici e interessanti chiavi interpretative.
Teresa Laterza 
BIOGRAFIA
Dottore di Ricerca in Filologia Greco-Latina, e libera cittadina della Repubblica dell’Immaginazione, Gabriella Vergari è nata a Catania, dove vive e insegna, coltivando con amore l’incanto per gli antichi e nuovi suoni. Sono così nati: Una letteratura latina, Imago Maiorum, Catania, 2010, di cui è coautrice insieme a G. Salanitro, A. Pavano e A. M. R. Tedeschi; un breve romanzo, Inganni Cortesi, Il Girasole edizioni, Valverde (Ct), 1990; raccolte di racconti e short stories, come: Sirene, chimere e altri animali, Chieti, 1993, e L’Isola degli elefanti nani, AG edizioni, Catania, 2003; il volume Ereia, della collana Continente Sicilia, insieme al fotografo A. Garozzo, Domenico Sanfilippo Editore, Catania, 1994; un paio di pièces teatrali come Scupa! in Voci di Carte, Il Girasole edizioni, Valverde (Ct), 2008; un bestiario, Species. Bestiario del terzo Millennio, Boemi, Catania, 2012. Con il pittore F.Blandino ha già realizzato Volteggi. Orizzonti di Immagini e Parole, Borè, Tricase (Le), 2018. È inoltre autrice di contributi scientifici, apparsi su riviste scientifiche anche internazionali, e poiché, parafrasando Kavafis, la scrittura le ha sempre dato il viaggio, anche di articoli e interventi critico – culturali, su periodici, cartacei e online e magazines di settore. Dalla sua collaborazione con uno di questi, «Vivere», è nato Capriccio Siciliano, Carthago edizioni, Catania, 2018, una dichiarazione d’amore per la sua terra. Insegna in corsi di scrittura creativa per ragazzi. Alcuni suoi racconti si trovano pubblicati in antologie e miscellanee di scrittori contemporanei.