CRISTINA KONTOGLOU: VOLTURNO ARCANO – Scritturaviva – La Voce del Recensore

CRISTINA KONTOGLOU: VOLTURNO ARCANO

GENERE: POESIA

RECENSIONE

Non è mai facile entrare nelle pieghe dell’anima dei poeti, leggere nelle intercapedini di quel senso intimo e soggettivo che ha qualcosa di sacro e che si teme di violare. Si procede in punta di piedi, possibilmente scalzi, immersi nel silenzio per dar voce al “silenzio” dell’autore. La poesia è quella rappresentazione intima frammentata – prolifera secondo i frangenti illuminativi – che desidera comunque essere raccontata al mondo… C’è chi la porge come un dono, limpida, trasparente, e chi invece nel seguire i complessi e variegati percorsi del suo sentire – il personale viaggio emozionale dell’inconscio – ci consegna qualcosa da indagare e scoprire. Ed è su questa sponda che si colloca il fare poetico di Cristina Eléni Kontoglou con la silloge Volturno arcano (Eretica Edizioni, pagg. 82, anno di pubblicazione 2023). Profonda e suggestiva, sovente non di facile comprensione, la sua poesia trova proprio nella non immediata accessibilità ai versi la peculiarità del suo modo d’essere. Le liriche vestite d’arcano, di orizzonti in trasparenza, di forme oniriche, conferiscono singolarità e originalità ai versi invitando il lettore, ammaliato dal mistero, a indagare l’universo poetico della scrittrice che si lascia rincorrere difendendo ciò che di sé non vuole con immediatezza palesare. I versi si aprono a immagini e visioni spesso solo all’apparenza nitide ma che subiscono il fascino della velocità del rimpiazzo, così che l’autrice, come colta da febbrile impazienza, investita dalla necessità di più cose da narrare, passa da un registro all’altro nel giro di poche battute. Così come il vento è mutevole e imprevedibile, allo stesso modo lo sono i versi della scrittrice: cambiano direzione con disinvoltura… L’autrice segue un suo filo logico interno che le consente di ricamare – a partire da simboli e giocando con associazioni, similitudini e assonanze – in uno stesso componimento anche riflessioni tra loro “estranee” o distanti. Il tempo e lo spazio nei componimenti sembrano dissolversi in quei luoghi emblematici che narrano di ricordi, di immagini ora chiare ora sfumate, di odori, sapori di epoche lontane e realtà presenti che si mescolano al suo stesso essere fino a diventare un tutt’uno con la sua carne. L’osservazione quasi “ossessiva”, osmotica, di frangenti e situazioni si plasma in scatti fotografici di un modo di avvertire che abbraccia con impeto cose, paesaggi e soggetti. Storia, miti, immagini si fondono nella complicità di una passione che non riesce ad arginarsi e che rappresenta la spinta motivatrice del poetare dell’autrice… E tutto scorre in modo inarrestabile: la vita, i ricordi, il suo stesso poetare, proprio come quell’imprevedibile Volturno arcano – divinità misteriosa, di difficile identificazione, caratterizzato dall’essere trasformista – che dà il titolo alla silloge. Emerge forte nei suoi componimenti quella grecità che pulsa nella sue vene e trabocca ricca di sfaccettature dando luogo a sensazioni tangibili. Suggestiva e spasmodica la sua poesia nasconde inquietudini e sofferenze, così come la consapevolezza della contraddittorietà e incomprensibilità dell’essere. Spigolose ma anche accoglienti e morbide, le descrizioni, rese attraverso l’uso frequente di similitudini, conducono piacevolmente per mano il lettore. Ritmo e armonia contraddistinguono i versi – quasi studiati – che risultano godibili all’ascolto. La natura non solo è presente nei versi della Kontoglou ma diviene parte integrante e partecipativa del suo essere e contempla quella corrispondenza tra la natura e i sentimenti dei personaggi propria dell’Ermetismo. Il linguaggio utilizzato si tramuta in immagini suggestive che si palesano vivide, quanto a sensazioni, dinanzi agli occhi del lettore. Realtà e fantasie si mescolano armoniosamente dando vita a rarefatte atmosfere. Non è soltanto il mistero il compagno di viaggio della poetessa ma anche quella tensione e consapevolezza spirituale che se in alcuni componimenti si scorgono in controluce, in altri appaiono con maggiore fermezza. Vi è sempre quell’anelito di libertà, quella tensione a difendere orgogliosamente il proprio essere, a dare un carattere deciso alle sue liriche quand’anche l’amore si affaccia prepotente nello scorrere del suo esistere: «Ora che l’inverno è finito / i chiodi sono consumati, / i lauri sbocciati / il miele è rappreso / le ortiche bagnate / i sassi e la calce / impastati / le meduse dissolte / i bottoni allentati. / Non sapevi che / sotto il ghiaccio / e la crina di diamanti, / i Semi novizi / dell’amaranto / le tue assuefazioni / premevano, / schiacciavano, / il mio guado immutato e libero / assecondavano?» (dalla poesia Immutato libero). Non un qualunque libro di poesie, ma quel libro in cui i disegni e i contenuti onirici – inconsci – prendono vita grazie a una particolare capacità dell’autrice di trasporli sul piano della realtà, di quella sua realtà tanto sfuggente quanto concreta. Una silloge vibrante, intensa e invitante.

Francesca Autieri

INTERVISTA

Cos’è per lei la poesia?

La poesia può essere considerata una forma non filtrata, come la pittura, la musica: l’effetto deve colpire i sensi. Serve a perpetuare la parola per osmosi, crea atmosfere cellulari. È collegata alla musicalità, fatta per essere pronunciata. Nel mio caso l’eufonia è essenziale, utilizzo una verticalità ritmica, che trasmette sensazioni più forti e stimolanti nel lettore nonostante l’evanescenza di alcune immagini, lasciandolo a volte spaesato, come spari di vocali e consonanti, o come trovandosi sotto una pioggia. È una poesia dalla componente sonora marcata.
La scrittura è un medium come un altro, non è lo scopo. Lo scopo della poesia non è la poesia, come quello della pittura non è il dipinto. È una forma come le altre, che sia fare il pane, prendere appunti disegnando al telefono. Un prolungamento, il canale di smaltimento.
È un medium, quando scrivo non so dove vado, è come guidare nel subconscio.
Posso creare qualsiasi cosa a partire dai simboli, assemblare e lavorare con le similitudini, le associazioni, le consonanze, dare vita a figure mai esistite, posso creare una realtà, perché in poesia c’è un margine ampio di accettazione dell’irreale possibile.
È una forma distopica del sé.

Quali sono i motovi ispiratori delle sue liriche?

I motivi ispiratori delle mie liriche sono la corrispondenza tra interno ed esterno, che è anche uno dei sette principi dell’ermetismo, tra natura e sentimenti dei personaggi.
Con la natura si instaura una comprensione per similitudine che va oltre la comunicazione, mentre tra i personaggi intercorre una forma di non detto, un cercarsi e trovarsi a tratti, quando il richiamo torna a essere atavico, basato sulla verità della pelle, a cui assiste il paesaggio in mutamento.
C’è un mistero, tra i personaggi, nei gesti. Un mistero nel nucleo intimo che si forma tra due persone e la combinazione dei loro elementi, precluso all’esterno.
Una combinazione che crea un universo completamente nuovo, complesso, non una semplice compenetrazione che annulla le singolarità.
Appare anche il simbolo e la forma mitologica, riferimenti a miti e a immagini ancestrali, tratte dalla mia origine greca. Il mito come strumento di decodificazione di un significato ulteriore, oltre le apparenze del reale, come la magia, altro piano di conoscenza che intercorre nella raccolta.
Il tema del doppio, che si scompone nell’ambivalenza delle immagini a tratti morbide, ad altri scarne, e nella convivenza tra moderno e antico.
La dimensione onirica come espressione del doppio.
E la fotografia, nel senso che le poesie sono fotogrammi descritti in maniera precisa, colori, gesti e atmosfere partono dall’immagine, nel senso di Imago, di rappresentazione, proiezione di una figura che preesiste nella mente prima che nelle parole.

Ci sono dei poeti a cui si sente affine?

Ci sono poeti a cui mi sento affine, come Antonio Porta, Ghiannis Ritzos, Rainer Maria Rilke, Elena Svarc.
Ma la mia poesia nasce dalla contaminazione di altre arti, dalla musica sperimentale, i site-specific, dalle installazioni, prima ancora dalla fotografia, il primo mezzo di espressione che ho conosciuto, quando praticavo street photography.
Nasce dall’immaginario di Steven Klein, Herbert List, Michael Duane, Sarah Moon, Saul Leiter e Paolo Roversi. Tutti fotografi che inseriscono elementi simbolici, che curano le atmosfere.
La concepisco come una stage photography: Io allestisco una immagine presente nella mia mente.

Le diverse culture nella sua poesia…

Nei componimenti emerge la doppia cultura nel tema delle radici, nel non sentirsi mai del tutto completi, perché in ogni luogo manca una parte di sé.
Anche il modo di utilizzare il linguaggio decontestualizzandolo, proviene da questo.
Sposto i termini dal loro contesto e li ricolloco in un contesto completamente diverso.
La Grecia e l’Italia sono entrambe due culture antiche, che subiscono il peso e il fascino della tradizione, e si trovano a coesistere con il nuovo.
Un aspetto che nella cultura greca è più accentuato, perché è recente la sua indipendenza e ultimamente il moderno irrompe con forza nell’antico, che cerca di preservarsi. Questo crea delle idiosincrasie, delle spaccature nelle persone.
Un motivo per cui in Grecia esiste un filone di poesia prolifico, antidoto all’eradicazione.
Un osservare l’esterno e guardarsi dentro, alla ricerca di un Io epurato dallo spazio e dal tempo.
La poesia diventa un meta luogo. Un luogo altro dove le convivenze degli opposti, delle culture e nel mio caso, del sangue misto possono coabitare

Ha in cantiere qualche altra opera poetica?

È uscita a Ottobre Agrimonia, una mia raccolta di racconti autobiografici edita da Fallone Editore, che riprende le tematiche di Volturno Arcano e impiega una prosa poetica. Dopo Volturno Arcano, permeato sulla natura mitologica, la prossima raccolta di poesie che ho redatto sarà incentrata sulla metropoli, la alienazione e la fascinazione delle strade, delle insegne notturne e degli spazi fabbricati dall’uomo.

Link per l’acquisto del libro:

https://www.ereticaedizioni.it/prodotto/cristina-eleni-kontoglou-volturno-arcano/

https://www.amazon.it/Volturno-Arcano-Cristina-El%C3%A9ni-Kontoglou/product-reviews/8833444198

BIOGRAFIA

Cristina Eléni Kontoglou, nipote del pittore e scrittore bizantino F. Kontoglou, e del marchese italiano Savini. Italogreca, vive a Firenze, dove ha studiato, conseguendo la laurea in Lingue e Traduzione, specializzandosi in letteratura e lingua francese, sua lingua di adozione, con una tesi su Marguerite Duras, insieme a una traduzione inedita di un suo testo teatrale, La Musica, corredata di saggio critico.
Trascorre una parte dell’anno in Grecia, nell’isola di Zacinto. In Italia, sviluppa la passione per la fotografia, di cui diventa studiosa e parte attiva, quando da street photographer partecipa a mostre personali e collettive, con il secondo nome Eléni.
Dalla fotografia, eredita il linguaggio evocativo e figurativo, che traspone nello scritto suggerendo quadri, atmosfere.
Lavora come docente di letteratura francese.
Inizia a scrivere racconti ispirati alle due terre, quella greca e italiana, in seguito componimenti. Pubblica nel 2023 la raccolta di poesie dal titolo Volturno Arcano per Eretica Edizioni, e sempre nel 2023 Agrimonia, un libro di racconti autobiografici edito da Fallone Editore.