BARBARA GISSER: UNA PROFESSIONE? NO, UNA PASSIONE. Bimbi, colleghi e tanto altro ancora…
GENERE: AUTOBIOGRAFIA (DIARIO – TESTIMONIANZA DI ESPERIENZE PERSONALI)
RECENSIONE
Sono portato a credere che un grande insegnante sia un grande artista e che ce ne siano pochi, proprio come pochi sono i grandi artisti. Difatti, insegnare è – senza forse – la più grande delle arti perché i mediatori sono la mente e lo spirito umani (John Steinbeck).
È questa la frase che mi è venuta in mente mentre scorrevo le pagine del racconto autobiografico (testimonianza di esperienze personali) Una professione? No, una passione! Bimbi, colleghi e tanto altro ancora… di Barbara Gisser (Casa editrice Youcanprint, anno di pubblicazione 2021, pagg. 190), in quanto non si può essere artisti in un’arte se non si ha la passione per quell’arte. In tutte quelle professioni in cui il processo comunicativo-relazionale costituisce la colonna portante di un percorso, non si può “fare” o svolgere quella professione, ma si deve essere – anche se l’espressione potrà sembrare esagerata – quella professione, e questo soprattutto quando i fruitori sono alunni con esigenze speciali, proprio come quelli dei quali si è occupata in tutta la sua carriera la nostra autrice che, essendo stata maestra di sostegno prima in Austria e poi in Italia per un lungo periodo, ha potuto constatare di persona quanto col passare del tempo il sistema scolastico e il rapporto con l’handicap siano cambiati, essendo tra l’altro lo stesso handicap un qualcosa in continuo divenire, non limitato all’ambito classe ma che coinvolge l’intera società. L’insegnamento, più che mai in caso di handicap, tira in ballo l’importanza del connubio delle tre esse (sapere, saper essere, saper fare) che, tanto caro alla pedagogia, trova, all’interno del processo educativo, nel rinnovato significato di competenza, la sua ragion d’essere. Tale competenza non è assimilabile né ad un insieme di saperi – ed infatti il libro della Gisser non è un trattato di pedagogia ma un diario di esperienze personali – e neppure ad un adattamento sociale, ma piuttosto si riferisce ad una caratteristica di natura etico-morale, nonché ad una predisposizione della persona a porsi nei confronti dell’altro con la finalità di “tirar fuori” le potenzialità che il discente ha in sé (del resto il termine insegnare deriva dal latino “educere” che significa tirar fuori, condurre) e ad una disposizione positiva di fronte al reale. È quindi consapevole chi, essendo responsabile ed avendo coscienza dei propri talenti (propensioni) e della propria vocazione, riesce ad inserirsi in un contesto sociale e ad agire sapendo fronteggiare compiti e problemi in modo efficace, organizzando in modo consapevole le risorse a sua disposizione e interagendo positivamente con altri colleghi, uniti per un fine comune: aiutare chi è in una condizione di difficoltà ad apprendere, attivandosi.
Ed è proprio con consapevolezza che ha agito la Gisser non solo nel suo percorso personale per divenire insegnante di sostegno, con tutte le difficoltà che ciò ha comportato, considerando problemi e sacrifici che ha attraversato per ottenere l’abilitazione e il titolo equipollente a quello austriaco in Italia, ma soprattutto nel muoversi ed esercitare tale professione per la quale non ci si può improvvisare, perché il sapere – l’essere a conoscenza di determinate realtà e processi – è solo una piccola fetta di tutto l’iter educativo che ha a che fare con l’hic et nunc delle situazioni contingenti e della specificità e singolarità di ognuno, portatore di esigenze e necessità diversificate. L’amore per la professione o la passione che dir si voglia è il fondamento, quindi, di qualsiasi processo educativo-relazionale; senza di esso non potrebbe sussistere alcun progresso o beneficio, e il rischio di andare incontro ad insofferenza sarebbe decisamente scontato, considerando che le professioni più a rischio burnout sono proprio le “helping professions” o le “high-touch” categoria di operatori che offrono, appunto, educazione, sostegno e cure alle persone in difficoltà, come operatori sociali, medici e infermieri, psicologi e psicoterapeuti, insegnanti, assistenti, ecc.
Attraverso le sue pagine, l’autrice ci lascia un messaggio o consiglio significativo: quello di non aver timore del diverso, né di sperimentare il fare in prima persona assumendosene le responsabilità per avvicinarsi ad un mondo sconosciuto, spesso ostico, colmo di difficoltà ma, come sottolinea la Gisser, pieno di soddisfazioni e amore incondizionato, poiché solamente in questo modo sarà possibile non solo parlare, ipotizzare, ma anche attuare una concreta inclusione – che mette al centro il valore della diversità come occasione di crescita per tutti gli alunni – condizione indispensabile e necessaria per costruire una umanità migliore.
L’esigenza di poter apportare il proprio contributo nell’ambito della disabilità matura nell’autrice fin da bambina, attraverso il conseguimento prima della maturità magistrale e poi iscrivendosi al corso di specializzazione di sostegno sempre nel settore della disabilità. La sua specificità si caratterizza non tanto nello scoprire metodologie utili ed efficaci ad affrontare difficoltà educative relative alla presenza di handicap, quanto nello sperimentare sul campo, passo dopo passo, possibilità di intervento nel rispetto della singolarità di ognuno, considerando che, non esistendo procedure o ricette preconfezionate, è necessario reinventarsi in itinere, osservando, ascoltando, riflettendo. Sono stati tanti i progetti educativi realizzati dalla Gisser che durante la sua carriera hanno portato grandi benefici agli educandi e soddisfazioni personali; così come sono state diverse le difficoltà da superare, come quella della didattica a distanza con il sopraggiungere della pandemia. Gli insegnanti di sostegno, infatti, sono stati coloro che hanno dovuto inventare più di altri, soluzioni funzionali, considerando che nel rapporto educativo insegnante-alunno speciale il contatto fisico è fondamentale. Se siete curiosi di scoprire come l’autrice ha ovviato a questo problema, non rimane che leggere questo interessante libro, indubbiamente una fucina di idee e positività per chi sceglie di aiutare chi è in difficoltà senza scivolare in espressioni di pena o deprezzamento del tipo: «Poverino, non sarà mai in grado di…», ma trasformando ogni ostacolo in opportunità.
Teresa Laterza
INTERVISTA
Come nasce l’idea di quest’opera?
Con lo scorso inverno (2020/21) arrivò anche il nuovo lockdown; come tutti, ero di nuovo a casa, senza poter andare da quasi nessuna parte, tantomeno per trovarmi con gli amici di sempre o far visita ai miei parenti in Austria. Un giorno, complice forse anche quell’ennesimo confino casalingo, seduta in totale relax sulla terrazza di casa a guardare il “mondo” che mi circondava e intenta a fare un piccolo resoconto della mia vita lavorativa da poco terminata… Mi venne un’idea. “E se mettessi per iscritto, nero su bianco, tutto ciò che ho fatto e vissuto nella mia vita professionale? Ora che sono in pensione poi, il tempo non mi manca di certo. Quale miglior occasione?!”… Detto, fatto. Iniziai col mettere giù una sorta di prima bozza: in principio, si trattò soprattutto di riordinare i pensieri, di dare una forma ed una scaletta a quello che si stava già delineando nella mia mente; prima mentalmente… e poi via via iniziando ad appuntarmi i vari aneddoti, le diverse riflessioni, i tanti ricordi, ecc… che sembravano sempre di più scorrere come un fiume in piena. L’intento di base, sicuramente, non è mai stato quello di lanciarmi in un’opera scientifica né tantomeno assumere il tono manualistico degli articoli specializzati sull’insegnamento didattico; non è mai stato questo il mio scopo e chi mi conosce sa che non sarebbe proprio nella mia natura. La strada voleva essere quella del ‘racconto’: autobiografico, sicuramente in parte, ma non un’opera incentrata su di me in senso stretto… Ho deciso di utilizzare la mia storia come spunto per qualcosa di più ampio: la mia professione. Ed ecco come la mia esperienza personale e lavorativa è diventata una specie di filo conduttore per raccontare e riflettere su un lavoro tanto delicato quanto intenso di una professione davvero appagante. Sembrava mancare però ancora qualcosa… Una volta completato buona parte del mio lavoro, infatti, ho letto e riletto la mia bozza, mi sono confrontata con le mie amiche ed alcune mie colleghe, ma per quanto mi sforzassi e mi piacesse, sembrava mancare sempre quel di più… Ed è proprio ripensando a questi miei confronti che mi venne l’idea: “…E se riuscissi a convincere anche alcune mie colleghe a scrivere qualche loro pensiero, aneddoto o riflessione sulla nostra vita professionale? Sarebbe un contributo molto prezioso!” Titubante forse in principio, ma convinta della mia idea, parlai con alcuni di loro, e molti ne furono davvero entusiasti. Con il senno di poi… È anche grazie a loro ed ai loro contributi che il libro è diventato più ricco e più interessante: come dicevo, non un’opera autobiografica in senso stretto, ma un racconto sulla mia e sulla nostra maniera di vivere la nostra meravigliosa professione.
Cosa significa mettere a disposizione di chi ne ha bisogno il proprio ingegno e le proprie competenze per Barbara Gisser?
Io penso che aiutare e sostenere chi si trova in situazione di handicap (cioè in condizioni fisiche, psicofisiche e/o mentali di svantaggio), sia, prima di tutto, un nostro preciso dovere sociale e civico. E questo vale soprattutto per i bambini con handicap, quei bimbi che più di altri hanno bisogno di un aiuto ed una guida specifica nella loro crescita. Un percorso speciale quello di questi bimbi, in cui è fondamentale che si mischino e collaborino fra loro le più diverse figure professionali, in modo da elaborare programmi diversificati e mirati per i diversi bambini: veri e propri percorsi su misura che rispettino il loro modo di essere e tengano allo stesso tempo conto delle loro peculiarità e talenti come delle loro difficoltà e limiti; presupposti basilari per riuscire ad aiutarli a crescere e trovare una loro personalissima strada, per aumentarne la consapevolezza di sé e l’autostima, per migliorarne, per quanto e quando possibile, la qualità della vita e le possibilità di inclusione sociale.. Punti importantissimi questi, tanto all’interno della società, quanto nell’insegnamento di sostegno, nonché capisaldi del mio modo di intendere questa mia professione: ingegno per affrontare una professione così variegata e competenze che permettano di affrontare con professionalità le così diverse situazioni… senza dimenticare la passione e la dedizione per il prossimo. Ecco il segreto del nostro lavoro.
Qual è il messaggio più importante che ha voluto trasmettere con la sua opera?
La professione di insegnante di sostegno è particolare e sicuramente non semplice sotto molti punti di vista; come molti lavori che hanno a che fare con le persone, è un qualcosa in continuo divenire, in cui i risultati e i frutti del proprio lavoro non sono quasi mai immediati, anzi… È un lavoro basato sulla pazienza, fatto di tanta umanità e, soprattutto, di passione. Alla base della mia opera c’è soprattutto un invito a non aver paura del diverso, a non temere un mondo, come quello dell’handicap, ancora spesso troppo sconosciuto e stereotipato. È un mondo fatto non solo di diversità e difficoltà: è soprattutto un universo di ricchezza e sfumature, pieno di soddisfazioni e amore incondizionato. “Un handicap è per sempre, ma saperlo accogliere apre il cuore”. Conoscere l’handicap è, infatti, la base per comprenderlo, ed alla base della conoscenza c’è il contatto diretto con il mondo dell’handicap: fondamentale, quindi, diventa un concetto semplice e complesso come quello dell’inclusione; è importantissimo includere quanto più possibile l’handicap non solo nell’ambito ristretto della propria classe, ma in tutta la comunità, scolastica e non. La possibilità di conoscere e confrontarsi con l’handicap fin da piccoli, non potrà che aiutarci a costruire una società di adulti più giusta in futuro, in cui stereotipi e paure non avranno più motivo di esistere. Un altro messaggio che ho voluto trasmettere riguarda la grandissima fortuna che ho avuto di poter svolgere un lavoro che ho sempre sognato, fin da piccola. Nella vita, purtroppo, non sempre questo accade e sicuramente di questi tempi è anche più difficile riuscire a realizzarsi seguendo la propria indole e la propria vocazione professionale, potendo svolgere il lavoro sempre desiderato; ma rimango anche fermamente convinta che sia fondamentale combattere per raggiungere la propria meta prefissata, anche professionale, mettendosi in gioco e stringendo i denti, quando necessario, andando avanti nonostante le difficoltà che si possano incontrare lungo il proprio percorso. Mai arrendersi! Un po’ com’è capitato a me ed alla mia storia professionale.
Ha in cantiere qualche altro lavoro similare?
Al momento non ho ancora chiaro quale sarà il mio prossimo lavoro, ma non credo sarà qualcosa di simile a questa mia opera.
Scriva ciò che ritiene importante in riferimento al suo libro.
Questo mio libro tocca molti punti a me cari: dal modo stesso di intendere l’handicap (nella società e nelle scuole), al confronto di due molto diversi sistemi scolastici ad esso dedicati (quello austriaco e quello italiano in cui ho lavorato), dalla necessità di figure professionali dedicate, all’importanza dell’inclusione nella sua più ampia accezione, ecc… L’occasione e lo spunto per tali riflessioni, vengono tutte dalla mia personale storia professionale e dal confronto, negli anni, con molti miei colleghi; proprio da questo confronto nasce l’idea di rendere alcuni di loro partecipi del mio libro, in prima persona, con l’intento di dare al racconto un più ampio punto di vista su di un ambito professionale così particolare come quello che ruota attorno al mondo del sostegno. Scelta non casuale la mia, in quanto il confronto e la collaborazione sono base stessa del nostro lavoro: attorno all’handicap, infatti, si muovono diverse figure professionali, scolastiche e non; non solo insegnanti, di sostegno e di classe, ma anche educatori, operatori sanitari, personale scolastico, a volte medici, fisioterapisti, logopedisti, ecc… E tutte queste figure devono confrontarsi costantemente, collaborando e lavorando insieme per trovare le soluzioni migliori e più efficaci per ogni singolo bambino con handicap: proprio come in un ingranaggio ben funzionante, queste figure devono muoversi insieme e sincronicamente. Non esistono figure più o meno importanti ma solo ambiti di lavoro diversi; tutti, attraverso il proprio specifico contributo, sono importanti per la buona riuscita di un percorso formativo/educativo positivo e proficuo. Allo stesso modo, particolare importanza assume il rapporto e la collaborazione con la famiglia di questi bimbi. Proprio per questo, più che un mondo, quello dell’handicap è un vero e proprio universo, costituito sempre da persone.
Link per l’acquisto del libro:
https://www.ibs.it/professione-no-passione-bimbi-colleghi-libro-barbara-gisser/e/9791220342407
BIOGRAFIA – L’AUTRICE SI RACCONTA
Sono nata nel 1953 in Austria, Paese in cui sono cresciuta e dove, dopo aver finito gli studi all’Accademia pedagogica di Innsbruck, ho intrapreso la mia carriera di insegnante di sostegno, insegnando per dieci anni prima nelle classi ausiliari e poi nelle scuole specializzate per l’handicap. Nel 1983, dopo il matrimonio con Franco, mi sono trasferita nella mia seconda patria, l’Italia, dove l’anno seguente è nato nostro figlio Roger. Nel gennaio 1987 ho iniziato a lavorare come insegnante, dapprima come docente di lingua tedesca nei corsi di formazione professionale alberghiera regionale, e tenendo in seguito diversi corsi di lingua tedesca per vari Enti; a partire dal 2002, dopo aver ottenuto la equipollenza dei miei titoli di studio, ho ripreso la mia carriera (e vocazione) di insegnante di sostegno nelle scuole primarie, lavoro che ho continuato a svolgere fino al mio pensionamento, nel settembre del 2020. Nel 2011 sono stata operata per un tumore alla laringe, esperienza dalla quale è nata l’idea del mio primo libro “Arrendersi? Questo mai!”, pubblicato poi nel 2017. In seguito alla pubblicazione del libro nella sua versione in tedesco (“Aufgeben? Das nie!”), con sorpresa, nel gennaio del 2020 ho avuto anche la possibilità di partecipare ad una trasmissione per la rete nazionale austriaca (ORF), un’esperienza davvero meravigliosa ed interessante. Andata in pensione si è aperto un nuovo capitolo nella mia vita, idea che in qualche modo mi incuriosisce e mi rallegra, in quanto non vedo l’ora di scoprire cosa di nuovo avrà in serbo per me questa esperienza. Durante il lockdown dell’inverno scorso è nato il mio secondo libro “Una professione? No, una passione! Bimbi, colleghe e tanto altro ancora…” Questo libro è un racconto biografico che narra la mia vita scolastica e professionale dai 6 ai 67 anni, ripercorrendone le varie tappe dal banco alla cattedra, traendone spunto per riflettere su cosa significhi essere insegnanti e sul modo di intendere il sostegno e l’handicap. Se siete curiosi, potete trovarmi anche sul mio sito web: www.barbaragisser.com/it/ …e se volete mettervi in contatto con me, sarò ben disponibile a rispondervi. Il libro “Una professione? No, una passione! Bimbi, colleghi e tanto altro ancora…” è disponibile in diversi formati, fra i quali cartaceo o e-Book. Il libro “Arrendersi? Questo mai!” è disponibile in diversi formati, fra i quali cartaceo, e-Book o Audiolibro.
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